Nel suo nono lungometraggio Daniel Schmid si abbandona ai propri piaceri; primo fra tutti quello di filmare la decadenza e la musica. Alcune pagine (le sequenze girate nel battello sul quale la Geisha è affiancata dai due mafiosi) ricordano i momenti più ispirati dell'autore di LA PALOMA (qui riciclata dall'altrettanto celebre "Amapola"). Le singole inquadrature, le luci, le tinte, le decisioni coreografiche che il regista in combutta con il sempre creativo Renato Berta sono assolutamente aderenti alle intenzioni del film. Sono affascinanti.
E' forse la struttura globale del film ad essere (forzatamente?) evanescente. Non c'è una vera e propria progressione, uno scheletro a sostenere le intenzioni, schegge d'interviste, frammenti che s'inseriscono pur mirabilmente nelle riprese del kabuki. Il volto scritto è un film che non sempre si riesce a circoscrivere ("non un film sul Giappone, non un film sul teatro")
.
Ma, in definitiva, che importa: la bellezza dei singoli frammenti che lo compongono confermano l'la sublime unicità dello sguardo del regista grigionese.